« Se durante la visita a un museo di scultura antica entriamo in una sala deserta, ci capita spesso che le statue ci appaiono sotto un aspetto nuovo. La statua eretta su di un palazzo o un tempio, ovvero al centro di un giardino o di una pubblica piazza, ci si presenta sotto diversi aspetti metafisici.
Nel caso del palazzo, dove si staglia contro il cielo meridionale, essa ha qualcosa di omerico, un piacere severo e distaccato, con una punta di malinconia.
Sulla piazza ha sempre un aspetto eccezionale, soprattutto se poggia su un piedestallo basso, in modo che sembri confondersi con la folla dei passanti, coinvolta nel ritmo della vita cittadina di tutti i giorni. Nel museo assume un aspetto ancora differente: ci colpisce per quel che ha di irreale. È già stato osservato più di una volta l'aspetto curioso che riescono ad acquistare letti, armadi, specchiere, divani, tavoli, quando ce li troviamo improvvisamente dinnanzi sulla strada, in uno scenario nel quale non siamo abituati a vederli: come accade in occasione di un trasloco, oppure in certi quartieri dove mercanti e rivenditori espongono fuori dalla porta, sul marciapiede, i pezzi principali della loro mercanzia. Tutti questi mobili ci appaiono sotto una luce nuova, raccolti in una strana solitudine: una profonda intimità nasce tra loro, e si direbbe che un misterioso senso di felicità serpeggi in questo spazio ristretto da loro occupato sul marciapiede, nel bel mezzo della vita animata della città e del continuo andirivieni della gente; un'immensa e strana felicità si sprigiona in quest'isola benedetta e misteriosa contro cui si scatenerebbero invano i flutti strepitosi dell'oceano in tempesta.
I mobili sottratti all'atmosfera che regna nelle nostre case ed esposti all'aperto suscitano in noi un'emozione che ci fa vedere anche la strada sotto una luce nuova. Una profonda impressione ci possono suscitare anche dei mobili disposti in un paesaggio deserto. Immaginiamoci una poltrona, un divano, delle seggiole, radunate in una piana della Grecia, deserta e ricoperta di rovine, oppure nelle prateria anonime della lontana America. Per contrasto anche l'ambiente naturale tutt'intorno assume un aspetto prima sconosciuto. »
(Giorgio de Chirico, Statues, meubles et généraux, 1927)
La migliore produzione pittorica di de Chirico è avvenuta tra il 1909 e il 1919, nel periodo della invenzione della pittura metafisica: i quadri di questo periodo sono memorabili per le pose e per gli atteggiamenti evocati dalle nitide immagini. All'inizio di questo periodo, i suoi soggetti erano ispirati dalla luce del giorno luminosa delle città mediterranee, ma ha rivolto gradualmente la sua attenzione agli studi su architetture classiche.
Mentre era ricoverato all'ospedale militare di Ferrara nel 1917, de Chirico conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, con cui iniziò il percorso che lo portò a perfezionare i canoni della pittura metafisica: a partire dal 1920 tali teorizzazioni furono divulgate dalle pagine della rivista "Pittura metafisica". Le opere realizzate dal 1915 al 1925 sono caratterizzate dalla ricorrenza di architetture essenziali, proposte in prospettive non realistiche, immerse in un clima magico e misterioso, e dall'assenza di figure umane. Questa pittura sarà ispiratrice di architetture reali realizzate nelle Città di fondazione di epoca fascista, dove il Razionalismo Italiano, accanto a strutture razionaliste lavorerà anche su forme, spazi e particolari architettonici metafisici.(Portolago, Sabaudia ect.). Nei vari Interni metafisici dipinti in quegli anni oggetti totalmente incongrui rispetto al contesto (ad esempio una barca a remi in un salotto) vengono rappresentati con una minuzia ossessiva, una definizione tanto precisa da sortire un effetto contrario a quello del realismo.
Compare in questo periodo anche il tema archeologico, un omaggio alla classicità reinventata però in modo inquietante: ne sono noti esempi Ettore e Andromaca (1917) e Ville romane. La figura del manichino, simbolo dell'uomo-automa contemporaneo (Il grande metafisico, 1917), gli fu invece ispirata dall'"uomo senza volto", personaggio di un dramma del fratello Alberto Savinio, pittore e scrittore.
Giorgio De Chirico e Sandro Pertini
In seguito, de Chirico collaborò alla rivista Valori plastici, che teorizzava una rivisitazione completa dell'arte italiana, e partecipò all'esposizione di Berlino del 1921. Ebbe un periodo di contatto con il surrealismo, con cui espose a Parigi nel 1925: le sue opere successive si segnalano per il virtuosismo tecnico e rappresentano un tributo e un ringraziamento al periodo barocco.
Nel 1949-1950, de Chirico aderì al progetto della importante collezione Verzocchi (attualmente conservata presso la Pinacoteca civica di Forlì), inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Forgia di Vulcano".
De Chirico fu anche incisore e scenografo. La datazione e l'attribuzione di alcuni suoi dipinti è assai ardua, perché l'artista stesso produsse nel secondo dopoguerra repliche dei suoi capolavori del periodo metafisico.